Nota a cura dell’avv. Bruno Cervone
La globalizzazione ha determinato nell’ultimo decennio un notevole cambiamento dello scenario nel commercio internazionale. Tale cambiamento ha prodotto un rilevante sviluppo di tutte le attività finanziarie e commerciali a seguito del crescente aumento della liquidità circolante a livello internazionale ed in ambito europeo dall’assenza di barriere doganali, restrizioni economiche e vincoli finanziari. Tale scenario internazionale, ha favorito la crescita della criminalità econ
omica la quale, approfittando delle opportunità determinate dalla globalizzazione da un lato e, dal vuoto normativo dall’altro, è diventata un fenomeno patologico che è in grado di apportare danni irreparabili alla economia legale alterandone il corretto funzionamento attraverso, anche, la concorrenza sleale dal punto di vista fiscale, laddove la manifestazione di ricchezza illecita sfugga ad ogni forma di tassazione. In questa prospettiva, il legislatore italiano, in un ottica internazionale, ha emanato una serie di norme dirette sia a prevenire il riciclaggio ed il reimpiego di denaro sporco e sia a favorire l’adozione di misure ablative delle disponibilità finanziarie e patrimoniali illecitamente costituite anche attraverso la tassazione dei proventi derivanti da attività illecite. La necessità di tassare i proventi derivanti da attività illecite trova la sua genesi nella legge n.537 del 24 dicembre del 1993 che, anche sulla spinta del fenomeno di “tangentopoli”, introduce il principio di tassazione dei proventi da attività o fatti illeciti, purché la ricchezza illecita possa essere riconducibile ad una delle categorie previste dall’art.6 del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi e a condizione che non fosse già intervenuto un sequestro o una confisca. Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n.10578 del 13 maggio 2011,hanno introdotto un ulteriore principio, stabilendo che tutti i redditi sono tassabili a prescindere dalla loro provenienza o classificazione, superando così la classificazione delle categorie reddituali del TUIR. Sul punto, l’Amministrazione Finanziaria viene , quindi, liberata dall’ onere della qualificazione dei redditi così come indicato dall’ art 6 del Tuir, essendo sufficiente ai fini dell’assoggettabilità all’imposizione diretta, la semplice “disponibilità” del reddito. Alla base dell’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecita, è necessario il “possesso” che, diversamente dall’accezione civilistica, produce l’assoggettamento a tassazione anche nel caso di detenzione temporanea . Ovviamente, la pretesa erariale colpisce solo l’autore del reato, mentre nel caso di persone giuridiche il reddito sarà imputato al rappresentante legale della società. Successivamente, con la legge n. 289 del 27 dicembre del 2002, l’Ordinamento italiano introduce il principio della indeducibilità dei c.d. “costi da reato” . L’art.34-bis d.l. 4 luglio 2006,n.223, convertito con la legge 4 agosto 2006, n.248, il Legislatore ha concluso l’iter normativo avviato con l’art. 14 l.n.534/1993, riconoscendo in modo definitivo la tassabilità del reddito derivante da attività produttiva illecita, essendo il reddito un dato economico e non giuridico. Tale principio subisce una rivisitazi
one dal D.L. n. 16 del 2 marzo 2012 successivamente convertito dalla legge 26 aprile del 2012 n. 44, che ha rimodulato il regime della deducibilità dei costi e delle spese documentati da fatture inesistenti. Ed in particolare, prevede: l’indeducibilità dei costi da reato ai fini IRAP infatti ,il comma 3 ultimo periodo dell’art.8 D.L. n. 16 sopra citato prevede espressamente che “Resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1e2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’ imposta regionale sulle attività produttive”. Quindi, la base imponibile IRAP dichiarata dal contribuente in fase di accertamento dovrà essere aumentata, per la ripresa a tassazione, dei costi sostenuti per l’acquisto di beni e servizi direttamente utilizzati per commettere i delitti non colposi; la deducibilità dei costi relativi a fatture soggetivamente inesistenti. Tale principio è stato ribadito di recente nella sentenza della CTR di Venezia 58/31/13 per cui i costi relativi a fatture ritenute soggettivamente inesistenti, possono comunque ritenersi deducibili ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap se inerenti rispetto all’attività di impresa, certi nella loro esistenza, obiettivamente determinabili nel loro ammontare e, naturalmente, documentati. L’onere della prova spetterà però al contribuente il quale dovrà dimostrare l’effettiva esistenza del costo, l’ammontare e l’inerenza (principio ribadito anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.19786/2011). La stessa Corte di Cassazione con la sentenza n.12503/2013 ha precisato che i costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili anche se il contribuente ha consapevolmente partecipato agli illeciti, fermo restando che il giudice è chiamato a verificarne l’effettività, l’inerenza, la competenza e
la certezza. Pertanto, coerentemente con i principi costituzionali in materia di uguaglianza e di concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, non sarà più possibile, in base alla nuova formulazione testuale dell’articolo 14 comma 4 bis della L. n. 537/1993, come modificato dal D.L. 2 marzo 2012, n.16,contestare al contribuente l’indeducibilità dei costi per il solo fatto che essi siano esposti in fatture per operazioni c.d. “soggettivamente inesistenti” Interessante, appare la questione sulla tassabilità dei redditi derivante dalla prostituzione, che alla luce di quanto detto sul superamento delle categorie di cui all’ art 6 del Tuir, e secondo quanto chiarito nell’anno 2001 dalla Corte di Giustizia Europea e successivamente nel 2013 dalla Suprema Corte di Cassazione , l’attività di prostituzione non potendo essere ritenuta illecita, costituisce reddito imponibile. Sarebbe auspicabile un allineamento agli standard di taluni Stati europei nei quali la prostituzione costituisce base imponibile quali l’Olanda, la Germania, la Gran Bretagna, la Spagna al fine di una corretta regolamentazione di detta attività anche in Italia che non potrà che avere conseguenze positive anche in tema di ordine pubblico e di legalità. La rilevanza economica dell’argomento nasce dalla circostanza che specifiche attività “illegali” sono incluse nella stima dei conti nazionali e, quindi, nel prodotto interno lordo già dall’anno 1995,secondo quanto stabilito dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali(Sec)in base al quale, per stabilire il reddito di una nazione bisogna tenere conto anche di attività vietate dalle leggi nazionali, ma che hanno caratteristiche di scambio volontario tra i soggetti.