MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato.
Va premesso che le parti del giudizio sono debitori solidali per l’imposta di registro sulla sentenza che l’ha definito, sicché, in conformità alla regola generale della solidarietà passiva, tra loro non sussiste litisconsorzio necessario nella lite tributaria e il contraddittorio è regolarmente costituito in questa anche con la partecipazione di uno solo dei coobbligati (Cass. 12 novembre 2014, n. 24098, Rv. 633091). Nel caso che occupa hanno ritenuto i primi giudici che il rapporto sostanziale sottostante alla condanna al pagamento degli importi di euro 66.052,57 ed euro 925.800,00 pronunciati nei confronti della ricorrente era autonomo rispetto a quello che aveva portato alla condanna a titolo risarcitorio nei confronti degli altre parti e pertanto, solo sui suddetti importi andava calcolata l’imposta: sul punto non vi è stato appello e dunque il relativo dictum resta fermo. Ma, pur avendo affermato la persistenza dell’obbligo di pagamento dell’imposta da parte del contribuente, seppure solo su taluni importi, i giudici di prime cure hanno poi nel decisum annullato l’intero avviso, senza procedere alla rideterminare dell’imponibile su cui andava calcolata l’imposta di registro non versata.
Orbene è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, quello secondo cui «Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ave ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dall’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’ “an” o di una condanna genetica» (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24611 del 19/11/2014, Rv. 633638, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26157 del 21/11/2013, Rv. 629043, Sez. 6 – 5, Cass., Ordinanza n. 13034 del 24/07/2012, Rv. 623395, nonché, da ultimo, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25629 del 15/10/2018, Rv. 651106, e, con riferimento specificamente all’imposta di registro Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30197 del 2017).
Principio, questo, che muove sulla scia di quello, analogamente condivisibile, secondo cui <<=”” p=””>
Pertanto, quando «il giudice [. .. ] ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve né può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti» (Cass. n. 17072 del 2010), dando «alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., [ … ] senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria» (Cass. n. 1852 del 2008), oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, come erroneamente ritenuto dai giudici di appello, essendo chiaramente consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo (v. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25629 del 15/10/2018, Rv. 651106). Nel caso che occupa dunque l’appello è fondato e la sentenza impugnata va parzialmente riformata nella parte in cui ha accolto il ricorso senza procedere alla rideterminazione della base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro posta in via solidale a carico della contribuente, importi che gli stessi giudici hanno individuato in euro 66.052,57 ed euro 925.800,00, e su cui non vi è contenzioso. La riforma solo parziale della sentenza di prime cure suggerisce di compensare le spese.
P.Q.M.
la Commissione tributaria regionale della Campania sez. n. 11 definitivamente pronunciando, così provvede:
accoglie l’appello e riforma parzialmente la sentenza impugnata nella parte in cui non procede a rideterminare la base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro posta in via solidale a carico della contribuente negli importi di euro 66.052,57 ed euro 925.800,00, sanzioni ed oneri di conseguenza.
Spese compensate.