Nota a cura dell’ Avv. Bruno Cervone
L’apparato normativo del D.Lgs. n. 231/2001 – qualora venga disposta la confisca di beni sui quali grava una procedura fallimentare – consente allo Stato di potersi insinuare nel fallimento al fine di rivendicare il proprio diritto. Quest’ultimo, però, sarà soddisfatto solo in un secondo momento; vale a dire successivamente alla salvaguardia dei diritti acquistati in buona fede dai terzi.
Sul tema è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione (ex plurimus Sez. V, n. 44824 del 2012) che ha chiarito come l’articolo 27 del sopracitato Decreto faccia riferimento anche all’azione endo-fallimentare, la quale rappresenta la forma prevalente di utilizzo dell’azione esecutiva.
Nessun contrasto, poi, vi sarebbe con la norma contenuta nell’articolo 53 co.1/bis D. Lgs. 231/2001 in base alla quale – nell’ipotesi di sequestro ex art. 19 di aziende, società e/o beni – il custode/amministratore giudiziario consente la prosecuzione della gestione agli organi societari, poiché la finalità è di garantire la continuità e lo sviluppo aziendale per preservare il valore della stessa azienda.
La nozione di terzo, infine, racchiude in se sia il requisito oggettivo rappresentato dalla circostanza che il terzo nessun vantaggio deve averne ricavato dall’attività criminosa perpetrata da altri soggetti e sia quello soggettivo da doversi identificare con la buona fede del soggetto estraneo. Quest’ultima sussiste ogni qualvolta v’è prova che nel caso concreto dell’acquisto operato dal terzo questi abbia agito con un grado di diligenza tale da poterla tradurre in “non conoscenza”.